Iniziamo con oggi ad inserire tra le nostre “News” anche una rubrica dedicata alle letture inerenti al mondo della sostenibilità. Ogni mese ti consiglieremo un nuovo libro, che abbiamo già letto o che ci è stato segnalato, che tratta tematiche di sostenibilità sociale o ambientale. Speriamo che possano essere suggerimenti utili e letture piacevoli, ma soprattutto ci auguriamo vorrai poi condividere con noi la tua opinione sul libro o sull’argomento affrontato.
Il primo libro che vi proponiamo è “Placemaker – Gli inventori dei luoghi che abiteremo” di Elena Granata, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano.
Non si pensi ad un libro “tecnico-specialistico“, ma è una lettura piacevole e fruibile anche per chi non avesse alcuna competenza in Architettura o Urbanistica (al massimo c’è sempre Google – in questo caso Google Images – che ci dà una mano a vedere i luoghi citati eventualmente sconosciuti).
E’ un libro recente che stimola al ripensamento delle nostre città, non solo da un punto di vista della sostenibilità ambientale, ma soprattutto sociale. A seguito della pandemia, delle conseguenze della crisi climatica ed economica, sempre più presone sentono la necessità di ripensare alla propria vita, di ristabilire un equilibrio con la natura, di prendersene cura, di trovare maggiori spazi e tempi di relazione. Molti decidono – anche grazie alla diffusione dello smart-working – di abbandonare le città per trasferirsi in periferia o nei borghi in montagna. Si cerca una maggiore qualità della vita, una vita più sostenibile!
E allora c’è da ripensare non solo alle città e alle infrastrutture, ma soprattutto alle loro funzionalità ed tempi.
I Placemaker sono coloro che pensano i luoghi, li plasmano e li realizzano, e Granata ci racconta in questo libro che non sono per forza ingegneri o architetti, ma – come svelato subito in copertina – “Dal politico-pedagogista, all’imprenditore-artista, dall’informatico-ambientalista, all’architetto-giardiniere” – sono figure ibride, capaci di immaginare e progettare le città del futuro.
“E’ un musicista che suona senza spartito, un rapper che sovrascrive parole su parole, suoni su musiche di altri, un architetto che reinventa luoghi partendo dall’esistente. E’ una figura nuova e insieme antichissima che si muove nel mondo restituendo senso e vita a luoghi che l’hanno persa. Rigenererà, reinventa, riconnette spazio. … da tempo una generazione di scienziati, di imprenditori, di artisti ha cominciato a saltare le barriere tra le diverse discipline, provando a adottare un approccio più complesso alle sfide del nostro tempo.“
Granata ci racconta di esempi più o meno recenti di cambiamento e rigenerazione urbana. Dai progetti olandesi di Dann Roosegaarde – con le piste ciclabili con illuminazione a pannelli solari e le colonnine che aspirano aria inquinata nei parchi pubblici, ne espirano aria pulita e con gli scarti vengono realizzati gioielli – ai giardini e piazze inondabili in Danimarca – dove le inondazioni del fiume che metteva in ginocchio la città è diventato espediente per creare spazi artistici e di gioco che nel caso diventano vasche per contenere l’acqua durante le esondazioni. Dalla High Line di New York – dove una stazione in disuso è diventata parco verde – alle isole pedonali di Curitiba, in Brasile, realizzate negli anni 70 da Lerner contro il volere della politica e di molti cittadini. Dal Bosco di Saggiari, alle porte di Parma – realizzato da un padre e un figlio che hanno piantumato alberi contro la cementificazione del loro territorio – al recupero di un’antica cava a Mazzara del Vallo. Sì, perché l’autrice ci dice che il vero compito del Placemaker non è quello di edificare nuove costruzioni, ma piuttosto quello di sottrarre: toglie ciò che non serve per aggiungere natura e spazi di relazione. E’ la capacità di attribuire nuove funzioni ad edifici o spazi abbandonati e di riportare la natura in quei luoghi, anche in risposta ad un bisogno urgente a seguito dei cambiamenti climatici.
Si osserva inoltre come le discriminazioni di genere abbiano avuto un ruolo nelle scelte politico-strutturali che in passato esclusero dalla progettazione degli spazi le donne – mamme e lavoratrici che spesso sono il cuore pulsante della vita quotidiana di una città – lasciate così ai margini, rendendo di fatto gli spazi meno funzionali. Un bell’esempio che prova a porre rimedio a tutto ciò può essere quello della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, che alla vigilia della pandemia lancia l’idea della città da un quarto d’ora: creare isole interne alla città dove i cittadini in 15 minuti a piedi o in bicicletta possano raggiungere le scuole, i negozi, i servizi di base e tutto quello che renda confortevole il vivere urbano.
Tanti, tantissimi esempi di luoghi, ma soprattutto di persone che hanno messo e mettono insieme risorse, competenze ed idee per generare nuove realtà più sostenibili. Figure che si sono prese cura e si sono impegnate per trasformare al meglio i luoghi in cui abitiamo.
Si parla anche della resistenza al cambiamento, molto forte soprattutto nel nostro paese. Una resistenza culturale per cui riteniamo che le trasformazioni delle nostre città debbano arrivare dall’alto ed affidate a figure pubbliche “qualificate” (architetto, urbanista, ecc.). Non ci rendiamo invece conto che oggi abbiamo bisogno di trasformazioni dal basso, che rispondano alle esigenze anche “immateriali” dei cittadini: ad esempio avere più spazi di relazione e aggregazione, ma anche di arte e di cultura, più spazi verdi in cui trascorrere del tempo, più aria pulita, e servizi in sintonia con i nuovi tempi della vita.
Dobbiamo ripensare alle nostre città, ai nostri spazi. E questo libro è ricco di idee, di spunti di riflessione, che possono essere di ispirazione a tutti noi!
Lo consigliamo a tutti, ma in particolar modo ai sindaci e alle sindache del nostro paese, con l’auspicio che possa essere di stimolo per cambiamenti concreti e sostenibili dei nostri luoghi.